La Terapia Familiare
Sezione a cura della Dott.ssa Carmela Vaccaro
“Io sono me stesso più le mie circostanze,
e se non le salvo,
non posso salvare me stesso”
Ortega y Gasset, 1914
Cornice storia
La Terapia Familiare in Italia
Le prime terapie familiari in Italia sono state condotte da Mara Selvini Palazzoli durante la metà degli anni Settanta. Mara Selvini Palazzoli, nasce come psichiatra e psicoterapeuta ad orientamento psicoanalitico, man mano però il fascino della psicoterapia individuale comincia a cedere il posto alla delusione. Troppo lungo era il tempo per ottenere un risultato, troppo numerosi gli interrogativi che restavano senza una risposta soddisfacente. I pazienti gravi venivano sistematicamente valutati come incurabili o, nella migliore delle ipotesi, potevano trarre giovamento da una decina d’anni di sedute tre volte la settimana. Così, dopo diciassette anni di pratica psicoanalitica, sente l’esigenza di trovare uno strumento psicoterapeutico più adeguato. Nel 1967, dopo aver studiato attentamente ciò che i pionieri nordamericani della terapia familiare avevano già pubblicato, fonda a Milano il primo Centro Italiano per la Terapia Famigliare (oggi, Nuovo Centro per lo studio della Famiglia). Il movimento della terapia della famiglia nasce così all’insegna della speranza: i pazienti gravi sono curabili, magari anche in poche sedute, basta coinvolgere la famiglia, eliminare ogni etichetta di patologia individuale, fare un salto epistemologico: la patologia è nella comunicazione distorta (più avanti si dirà nel “gioco patogeno”). La terapia familiare si afferma grazie ad idee semplici e forti: la famiglia ha la responsabilità della designazione patologica di uno dei suoi membri, ma anche le risorse per curarlo
La Terapia Familiare nasce dall’applicazione al colloquio clinico con le famiglie, di alcune considerazioni fatte da Gregory Bateson. Quest’ultimo aveva formulato la prima ipotesi sulla schizofrenia basata sulla comunicazione interpersonale. Fu il testo Paradosso e Controparadosso scritto dal gruppo Milanese, allora formato da quattro psicoanalisti che avevano deciso di riscrivere le regole della terapia, Mara Selvini Palazzoli, Boscolo, Cecchin e Prata, ad aprire la via alla terapia della famiglia.
Da un punto di vista teorico la Terapia Familiare prende in considerazione il fatto che l’uomo non è isolato ma agisce e reagisce all’interno di gruppi sociali, per cui si concentra sulla persona all’interno del contesto famigliare. Secondo Bateson il contesto influenza in modo diretto i processi della mente. Il neurologo José Delgado prende in considerazione l’influenza della sfera sociale sull’uomo; “non possiamo essere liberi dai genitori, dagli insegnati e dalla società perché sono fonti extracerebrali delle nostri menti. Una mente umana si sviluppa man mano che il cervello sviluppa e incamera gli stimoli plurimi scaricati sia internamente che esternamente. Informazioni, atteggiamenti, modalità di percezione sono assimilati e immagazzinati diventando così parte del modo di porsi di una persona nel contesto di vita in cui interagisce. La famiglia è un fattore altamente significativo all’interno di questo processo. È un gruppo sociale naturale che regola le interazioni dei suoi componenti, sia rispetto a stimoli che vengono dall’interno che dall’esterno. La famiglia costituisce la matrice dell’identità.
INDICAZIONI PER LA TERAPIA FAMILIARE
Sessant’anni fa la terapia sistemica viene pensata per soggetti psicotici, con gravi disturbi di personalità, tossicodipendenti, soggetti con disturbi alimentari, soggetti non motivati alla cura. La maggiore utilità di una terapia familiare si colloca sicuramente nella fase di una valutazione iniziale di un paziente non richiedente.
Chi sono i pazienti non richiedenti?
I pazienti non richiedenti sono soggetti non motivati alla cura, resistenti, o soggetti che non sono in grado di formulare una domanda d’aiuto come i bambini. Oggi resta ancora valida l’idea di collaborare con l’intera famiglia, che pur con tutte le limitazioni costituisce una risorsa, può aiutare a far nascere la motivazione nel soggetto sofferente ma non richiedente, analizzando prima di tutto le dinamiche in cui è inserito, la storia che ha avuto, le modalità con cui i suoi familiari si sono relazionati con lui e lui con loro, e successivamente intervenendo su aspetti disfunzionali di tali relazioni, per accompagnare la famiglia a trovare un assetto più favorevole al recupero del suo membro. La seduta familiare apre un microcosmo di fenomeni straordinariamente eloquenti, è un ottimo contesto per ottenere una descrizione accurata del problema, e nel contempo, della vita del paziente, che così si sente pensato dai suoi. Insieme a loro poi potrà condividere le storie dei familiari e quelle delle famiglie d’origine.
I pazienti non richiedenti per i quali è maggiormente indicata la terapia familiare sono:
- Adolescenti
- Bambini
Il paziente è l’ adolescente
L’adolescenza è una fase del ciclo di vita caratterizzata da tante sfide evolutive; il corpo che cambia, l’identità da strutturare, le prime sperimentazioni dell’amore, della sessualità e la successiva istaurazione dell’identità sessuale, sentimenti contraddittori e conflittuali, emozioni intense, sbalzi d’umore. Durante gli anni dell’adolescenza i microcosmi che circondano l’individuo in crescita espandono e modificano la propria struttura; i rapporti interpersonali, per esempio, subiscono un mutamento. Gli adolescenti cominciano a socializzare in modo differente con genitori, coetanei, insegnati e non sempre questi rapporti sociali sono sereni.
Un ragazzo sedicenne che seguo nel contesto scolastico in cui lavoro, non molto tempo fa, mi disse “siamo affetti da una malattia che si chiama adolescenza”. L’adolescenza, chiaramente, non è una malattia ma per i ragazzi potrebbe rappresentare un momento di forte destabilizzazione e, proprio perché rappresenta un passaggio critico del ciclo di vita, sia per il ragazzo che per i genitori che la vivono con lui, potrebbe essere un momento topico di supporto.
I problemi maggiori potrebbero essere la Fobia scolare che porta a un graduale ritiro da scuola, Difficoltà relazionali, Disturbi del comportamento (ribelli, accusatori, devianti) Ritiro Sociale, Depressione, Disturbi del comportamento alimentare, conflitti estremi con le figure genitoriali. È probabile che l’adolescente non riconosca il proprio malessere come bisogno di cura. La resistenza dell’adolescente nei confronti della psicoterapia è un atteggiamento fondamentalmente sano, in quanto il fatto stesso di essere condotto in terapia comporta un implicito attacco alla sua autostima. La collaborazione della famiglia consente una migliore gestione di questa ferita.
La seduta familiare permette di far vivere alla famiglia un’esperienza correttiva e a volte anche unica dando al ragazzo in crisi la possibilità di parlare alla presenza dei suoi genitori, chiedendogli sia di lui che del rapporto che ha con i familiari. Inoltre facilita il crearsi di un contesto di riflessione in cui i familiari s’interrogano collettivamente sulla storia del loro rapporto con quel figlio/fratello/sorella. Permette la possibilità di aprire nuovi percorsi riconcilianti e chiarire antichi misconoscimenti, infatti chiedere al genitore di raccontare al terapeuta, ma alla presenza del coniuge e dei figli, la storia della sua infanzia, le sue gioie e le sue fatiche, il rapporto con i suoi genitori, cosa ha ricevuto di buono da loro ma anche le ferite e le cicatrici, permette di vedere in quel genitore o coniuge il bambino che è stato.
In una fase più avanzata del trattamento, la seduta familiare consente un bilancio completo e attendibile del lavoro terapeutico.
Il paziente è il bambino
Per bambino intendiamo il piccolo dalla nascita alla preadolescenza, alla fine cioè della scuola elementare o all’inizio della scuole media. Anche il bambino si trova a fare i conti con tutta una serie di mutamenti che rappresentano una sfida per lo sviluppo. Lo sviluppo delle abilità psicomotorie di base, l’apprendimento della comunicazione prima in forma orale poi scritta, imparare a mettersi in relazione con adulti, fratelli, sorelle, amici e coetanei, affrontare le sfide rappresentate dalla scuola, ma anche dal tempo libero. In questa fase del ciclo di vita le maggiori difficoltà possono, dunque, essere legate alla scuola, alle relazioni familiari e allo sviluppo cognitivo, affettivo, evolutivo ed emotivo.
È necessario distinguere la presenza dei bambini in terapia se essi sono
- Pazienti
- Testimoni del disagio di altri familiari.
In entrambi i casi il bambino è fruitore della terapia familiare e non responsabile del cambiamento terapeutico.
La domanda per un bambino richiede un periodo di preparazione attraverso uno o più colloqui preliminari che precedono la convocazione del piccolo paziente, colloqui in cui i genitori possono descrivere le proprie preoccupazioni per la crescita del figlio, analizzare i propri dubbi e le proprie ipotesi circa l’origine del problema, esprimendo liberamente i loro conflitti, ansie, difficoltà. Le modalità di proseguimento dei colloqui variano in base all’età e al livello di patologia del bambino. Incontrare un bambino in una seduta familiare, richiede attenzione alla sua soggettività, quindi la sua salute psichica o il suo disagio che sono frutto di un incontro tra la sua dotazione personale e le storie dei suoi legami. È importante che il bambino partecipi perché ha un importante punto di vista, è una risorsa, è un testimone, è un attivatore di risposte relazionali, può essere una vittima, ed è una motivazione ad attivare risorse evolutive. Alla conclusione della seduta con il bambino paziente è importante restituire a lui un senso, traducendo in termini semplici e comprensibili il senso della nostra visione del problema. Mettere il bambino in condizione di migliorare la propria percezione del sé e il senso di ciò che gli accade mobilita le sue risorse verso il cambiamento.
Nel caso in cui invece il bambino sia un testimone della sofferenza di un altro membro della famiglia, poiché raramente è indenne dal pagare un prezzo sul proprio sviluppo, è opportuno convocare tutti i membri. Il bambino favorisce l’espressione dei limiti e delle risorse familiari anche quando non è l’oggetto dell’intervento richiesto.
La terapia familiare viene indicata anche nei casi in cui sia presente un disagio nella relazione tra genitore e figlio o problemi nella fratria.
SETTING DELLA TERAPIA FAMILIARE
L’obiettivo ideale di una presa in carico terapeutica è quello di ottenere una collaborazione ottimale da parte di tutti i membri della famiglia, per progettare insieme una terapia efficace. Dunque dopo la fase di consultazione, il cui obiettivo è valutare il problema e le risorse per affrontarlo, ricostruire insieme a tutti i membri della famiglia il processo che ha indotto lo stato attuale del malessere e motivare il paziente al trattamento, si passa alla terapia, che si propone di porre rimedio alle difficoltà sperimentata, favorendo un cambiamento. La psicoterapia relazionale può avere differenti setting:
- La terapia familiare in cui prevalgono le sedute familiari
- La terapia parallela, basata sull’alternanza tra sedute individuali per il paziente, e sedute familiari (all’interno delle quali posso alternarsi formati differenti di incontro, solo genitori, solo fratelli, genitore/figlio)
- La terapia individuale di uno o più membri adulti della famiglia quale esito della terapia familiare
Bibliografia
Bateson, G. (1972). Verso un’ecologia della mente. Tr. It. Adelphi 1976
Bruni, F., Defilippi, P. (2007). La tela di Penelope. Origini e sviluppi della terapia familiare in Italia. Bollati Boringhieri
Cirillo, S., Sorrentino, A.M., Selvini, M. (2016) Entrare in Terapia. Le sette porte della Terapia Sistemica. Raffaello Cortina Editore
Minuchin, S. (1976) Famiglie e Terapia della Famiglia. Casa Editrice Astrolabio
Selvini Palazzoli, M., Boscolo, L., Cecchin, G., Prata, G. (1975). Paradosso e Controparadosso. Raffaello Cortina Editore
Selvini Palazzoli, M., Cirillo, S., Selvini, M., Sorrentino, A.M. (1998) Ragazze Anoressiche e Bulimiche. La terapia Familiare. Raffaello Cortina Editore
Selvini Palazzoli, M., Cirillo, S., Selvini, M., Sorrentino, A.M. (1988) I Giochi Psicotici nella Famiglia. Raffaello Cortina Editore